TRATTAMENTO FISCALE ROYALTIES SULLO SFRUTTAMENTO DEL MARCHIO

 

Con l’entrata in vigore del Tuir, l’art. 49 del D.P.R. 597/1973 (ora art. 53) è stato modificato ed è scomparso ogni riferimento normativo al trattamento fiscale della fattispecie.

L’art. 53, al comma 2, lett. b), fa rientrare tra le ipotesi di reddito di lavoro autonomo “ i redditi derivanti dalla utilizzazione economica, da parte dell'autore o inventore, di opere dell'ingegno, di brevetti industriali e di processi, formule o informazioni relativi ad esperienze acquisite in campo industriale, commerciale o scientifico, se non sono conseguiti nell'esercizio di imprese commerciali ”, senza riprendere i redditi derivanti dalla utilizzazione economica di marchi di fabbrica e di commercio.

L’esigenza di colmare il silenzio del legislatore al riguardo ha portato alla formazione di due orientamenti interpretativi:

  • da un lato, vi è chi sostiene che i proventi derivanti dalla concessione in licenza di un marchio da parte di un soggetto privato possa essere fatta rientrare in via analogica nell’art. 53, comma 2 del Tuir; dall’altro si ritiene che la fattispecie sia esclusa dal novero dei rediti assimilati a quelli di lavoro autonomo. E ancora, nell’ambito di questa seconda impostazione, si scontrano due opinioni.
  • Una parte della dottrina afferma che l’operazione non dia origine ad alcun reddito,
  • l’altra parte sostiene che essa invece generi redditi diversi.
  •  

Analizziamo di seguito le posizioni adottate dalla dottrina.

  1. a) Applicazione analogica art. 53, comma 2

Secondo una prima tesi, le royalties possono ancora essere ricomprese nella categoria dei redditi di lavoro autonomo, coerentemente con quanto previsto prima dell’entrata in vigore del Tuir. Segnatamente, il marchio potrebbe essere incluso nell’ambito delle “esperienze acquisite in campo commerciale” di cui all’art. 53, comma 2, lett. b). Quest’impostazione risulta però forzata. Ancora, la dottrina tributaria ha sostenuto che l’elencazione contenuta nella disposizione qui citata non sia tassativa, ma esemplificativa. Di conseguenza, il comma 2, lett. b) conterrebbe una mera esemplificazione di beni immateriali, tra cui deve ritenersi compreso, anche se non espressamente previsto, il marchio.

  1. b) Inapplicabilità art. 53, comma 2

In base ad un'altra impostazione, i proventi percepiti in relazione alla concessione in licenza del marchio da parte di un privato non sarebbero più tassabili in qualità di redditi di lavoro autonomo assimilati. Questa seconda soluzione dà a sua volta origine a due diversi orientamenti.

b.1) Nessun reddito imponibile: La tesi secondo cui i compensi percepiti da una persona fisica al di fuori dell’attività d’impresa e professionale eventualmente esercitata in relazione alla concessione in uso di un marchio non generano reddito imponibile è preferita da coloro che valorizzano maggiormente il principio della riserva di legge ribadito all’art. 23 della Costituzione. In base a tale disposizione “Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge.”. Ergo, se manca la disposizione di riferimento per una determinata fattispecie, significa che il legislatore non ha inteso attribuirle rilevanza ai fini della tassazione.

Inoltre, tale impostazione fa leva sulla relazione ministeriale al Tuir del 1986.

Essa afferma che “ ai redditi derivanti dall'utilizzazione economica di marchi di fabbrica e di commercio non si può riconoscere né natura di redditi di lavoro autonomo, né quella di redditi diversi dato che l’utilizzazione dei marchi d’impresa avviene o in sede di trasferimento dell'azienda o di un ramo di essa o mediante la concessione di licenze non esclusive, e quindi nell’esercizio d’impresa (salvo ipotesi marginali per le quali potrà, eventualmente, soccorrere l’ampia previsione dell’art. 81, n.11)

Dal dato lessicale, si evince che lo sfruttamento economico dei marchi d’impresa rileva solo se compiuto nell’ambito di un’attività imprenditoriale, producendo pertanto reddito d’impresa. Al di fuori di tale ipotesi, parrebbe allora non configurarsi reddito rilevante ai fini delle imposte sul reddito.

Inoltre, questa soluzione non è ragionevole, in quanto si finisce per tassare o non tassare fattispecie assimilabili solo per la diversa qualificazione del bene immateriale.

b.2) Reddito diverso: L’orientamento in base al quale i compensi relativi alla concessione in licenza dei marchi da parte di un soggetto privato genererebbe reddito imponibile, guarda alla relazione ministeriale al Tuir secondo un’altra prospettiva. Specificatamente, la fattispecie può essere ricondotta alla categoria dei redditi diversi, in ragione delle richiamate “ipotesi marginali per le quali potrà, eventualmente, soccorrere l’ampia previsione dell’art. 81 (ora, art. 67, n. d. AA.), n.11”.

L’art. 67 del Tuir, che apre il Capo VII sui redditi diversi, ricomprende un’elencazione tassativa di eterogenee fattispecie reddituali che non possono essere ricondotte alle altre categorie di reddito individuate all’ art. 6, comma 1, del Tuir.

Delle tipologie di redditi diversi contemplate nel sopracitato art. 67, si ritiene che l’unica ipotesi in cui possa essere fatto rientrare il caso in analisi sia quella prevista al comma 1, lett. l). Essa si riferisce, in maniera generica, ai “ redditi derivanti dall’assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere”. Segnatamente, la fattispecie in questione può essere fatta rientrare tra gli obblighi di permettere.

Tale pensiero trova conferma in quanto affermato dall’Agenzia delle Entrate nella risoluzione del 16 febbraio 2006 n. 30/E. Quest’ultima stabilisce infatti che le somme percepite dal titolare del marchio “ assumono rilevanza anche ai fini della determinazione dei redditi di tale soggetto. Tali importi vengono, infatti, corrisposti a fronte dell’assunzione di obblighi ben precisi che consistono nel permettere ad un altro soggetto l’utilizzo del proprio marchio ”. In particolare, “ l’importo percepito a fronte di tale obbligo deve quindi essere assoggettato a tassazione in capo al soggetto percipiente in applicazione della disposizione dettata dall’articolo 67, comma 1, lettera l), del Tuir ”.

Questo provvedimento ribadisce l’orientamento dell’Agenzia delle Entrate in materia già espresso nella risoluzione dell’11 marzo 2002, n. 81/E.

Se si accede a tale impostazione, occorre considerare che il quantum rilevante ai fini delle imposte sul reddito va determinato sottraendo all’ammontare percepito nel periodo d’imposta le spese specificamente inerenti alla loro produzione, secondo quanto previsto dall’art. 71, comma 2, del Tuir.

 

Conclusione

In conclusione, la concessione in licenza di marchi da parte di soggetti privati non è espressamente disciplinata dal legislatore. Tale lacuna è stata colmata unicamente in via interpretativa, ma anche a livello dottrinale il pensiero non è univoco. Da un lato, si sostiene l’irrilevanza fiscale della fattispecie, dall’altro invece essa viene ricondotta alle ipotesi generatrici di reddito diverso ai sensi dell’art. 67, comma 1, lett. 1) del Tuir.

Sulla problematica è intervenuta l’Agenzia delle Entrate con le risoluzioni 81/E del 2002 e 30/E del 2006, chiarendo che si tratta sempre di reddito e quindi di fattispecie tassabile, al di là delle disposizioni di legge.

Anche se si può sostenere il contrario, pare difficile non adeguarsi a quest’interpretazione.

Fino a che non il legislatore non interverrà sulla questione, il problema rimarrà comunque aperto.

Tabella 1: Trattamento fiscale dei proventi da concessione in licenza di un marchio da parte di un soggetto privato

 

D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597

D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917

Soggetti residenti non imprenditori

Art. 49, comma 2, lett. b): reddito di lavoro autonomo

Tre alternative:

- Reddito di lavoro autonomo ex art. 53, comma 2, lett. b)[5];

- Nessun reddito[6];

- Reddito diverso ex art. 67, comma 1, lett. l)[7]

Soggetti non residenti

Art. 19, comma 1, n. 9), reddito imponibile

Art. 23, comma 2, lett. c), reddito imponibile